Visto si stampi.
Olympus DXL usata, fine anni ’80. La data che si intravede su alcuni scatti è quella impostata dalla persona che la usò, ai tempi, prima di venderla al mercatino delle cose di seconda mano. Questi sono gli ultimi scatti che ho potuto fare, venticinque anni dopo, prima che la macchina fotografica smettesse di funzionare, definitivamente.
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“L’occhio al mirino è sempre stato percepito come il gesto fotografico, giacché anche la macchina fotografica più modesta lo aveva, nel periodo storico della sua larga diffusione. Pur presente ancora nelle macchine fotografiche reflex e mirrorless di fascia alta (sostanzialmente quelle rivolte ai professionisti e agli amatori più avanzati), nella maggioranza degli apparecchi di tutte le marche il mirino è stato oggi eliminato: per ridurre ingombri, costi, complicazioni tecniche. E perché oggi si fotografa così, esattamente come con lo smartphone: guardando uno schermo, con le braccia tese, il congegno lontano da sé, quasi sospeso tra noi e il mondo. Questa è, io credo, la perdita più grande e più vera: perdiamo la dimensione intima, la concentrazione, la riflessione, l’esatta percezione dell’inquadratura e dunque della composizione, il contatto fisico con la macchina fotografica come vera protesi dell’occhio e organo del nostro corpo. Perdiamo il campo buio con quella magica, silenziosa e potente finestra in presa diretta sulla vita. E così, ora, in assenza del mirino e del suo rifugio, siamo nuovamente travolte e travolti dalle cose, nel flusso che non riusciamo a catturare perché è lui a catturare noi. Non siamo più abbastanza fuori per essere davvero dentro.”
– Bertolucci, Di foto e di fatto, 2025.


















