Secondo la dottrina del Buddhismo, il koan è un breve componimento letterario che aiuta la meditazione grazie al suo contenuto paradossale. Immaginare che Facebook chiuda (e relative conseguenze) è un buon koan, anche se per nulla paradossale: non è specificato da nessuna parte (a cominciare dalla licenza d’uso che ciascuno di noi ha sottoscritto al momento della sua iscrizione) che Facebook abbia l’obbligo di preservare se stesso e, di conseguenza, di salvaguardare i nostri dati. Tutto il materiale caricato lì andrebbe perso irrimediabilmente – davvero avete una copia di tutte quelle fotografie? – si dovrebbe trovare un altro modo per contattare molti amici, a patto di ricordarseli tutti; assisteremmo ad una delle più grandi migrazioni della storia umana… verso nuovi social networks.
Più facile, forse, immaginare un Facebook senza di noi. Il nostro profilo abbandonato, l’ultimo status che prende polvere, pubblicità non cancellate sulla bacheca, le notifiche che si accumulano a decine, centinaia, migliaia…
E questo, credetemi, accadrà a tutti, nessuno escluso.
“Two placebos are better than one.”
Installazione: found objects, acrilico, plastica, cartone.
Andrea Roccioletti 2015.
Roccioletti 
io non ce l’ho, facebook.
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Innanzitutto, grazie per aver ripescato questo articolo. Era il 2015: è vecchio, e mi fa un certo effetto leggerlo. Nel frattempo, sono accadute tante cose (oppure tanti fatti, se preferisci). E’ stata solo successiva, la decisione di abbandonare FB e Instagram: agosto 2018. Se cerchi gli articoli con il tag “Sfacebook” su questo sito, è dove provo a raccontare che cosa vuol dire non essere più social. La prima cosa che mi è venuta da pensare, leggendo il tuo commento, è stata la proprietà commutativa: “Io non ce l’ho, Facebook” = “Facebook non ha me” (quanto possediamo una cosa e quanto siamo posseduti da una cosa). Non so se regge, come equazione. Con gli aspetti negativi e positivi che questo comporta.
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Cercherò Sfacebook. La proprietà regge (almeno per me).
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