Gulliver si chiamava Pautasso.

Gulliver si chiamava Pautasso.
Mostra fotografica, scatti di Riccardo Pautasso.

Il tesoro segreto di un fotografo sconosciuto: migliaia di scatti effettuati in sei continenti nel corso di 50 anni.

Nella mostra a Spaziobianco, curata da Andrea Roccioletti, sono esposte le fotografie che Riccardo Pautasso (1934 – 2005) ha scattato in giro per il mondo, mai esposte prima: uno spaccato di mezzo secolo di vita sul pianeta, attraverso gli occhi di un solitario bogianen piemontese.

Durante l’inaugurazione Francesca Vettori (attrice, doppiatrice) leggerà il testo di un breve racconto di Silvano Costanzo dedicato a Riccardo Pautasso.

Inaugurazione venerdì 5 aprile 2024,
a partire dalle ore 18,30.

La mostra rimarrà aperta fino al 3 maggio 2024
dal lunedì al giovedì, dalle 17:00 alle 19:00
oppure su appuntamento: 333-6863429
spaziobiancogallery@gmail.com

Spaziobianco, via Saluzzo 23/bis (interno cortile) Torino

Special thanks: Maria Grazia Quartarella, per aver conservato tutti gli album e averli messi a disposizione.

Per i suggerimenti, l’apporto creativo, la condivisione e aver speso tempo per l’allestimento della mostra: Rossella Ferrero, Vanessa Depetris, Lorenzo Ferrero, Lorenzo Gastaldi, Lorenzo Gaido, Pietro Cerrina, Anna Klencikova, Matteo Riggi.

 

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Tempo fuor di sesto.
Cronosismi e sincronismi.
di Andrea Roccioletti

Riccardo Pautasso nasce nel 1934 e muore nel 2005. Di bassa scolarizzazione e con un modesto impiego, decide di investire i suoi risparmi, anno dopo anno, per viaggiare e scattare fotografie, mettendo insieme 56 album fotografici: più di 1000 scatti, dal 1955 al 2003, realizzati durante soggiorni in circa 30 nazioni del mondo.

La mostra ha come leitmotiv lo scorrere del tempo, il cambiamento e l’impermanenza:

– nella fotografia: i primi scatti dell’archivio Pautasso sono di piccolo formato, in bianco e nero; quelli degli anni 80 virati al rosso, a causa del degradamento chimico della carta fotografica; gli ultimi di grosso formato, dai colori brillanti.

– nei soggetti fotografati: le architetture oggi scomparse, dal Muro di Berlino alle Torri Gemelle; i ghiacciai, ai nostri giorni drasticamente ridotti; le mode di paesi vicini e lontani, gli abiti dei passanti, fotografati per caso, durante la loro quotidianità; le automobili che oggi diremmo d’epoca; il lettering delle insegne delle attività commerciali, e così via.

 


Porta di Brandeburgo, Berlino est 1980, dieci anni prima della caduta del muro. Le Twin Towers, New York 1998, tre anni prima dell’attentato. Beirut 2004, i segni sugli edifici degli attentati di Al Qaeda di quell’anno.

 

– nel corpo: per ogni anno, sono state scelte una o più fotografie in cui compare lo stesso Pautasso: messi in sequenza, gli scatti raccontano di un corpo dai diciotto anni fino alla sua scomparsa, i segni del tempo, i cambiamenti fisiologici.

 

Riva Trigoso 1959. Spalato 1972. Moschea di Qayrawan, Tunisia 1985. Teotihuacan, Messico 2002.

 

– nella forma: l’album di famiglia (con la nascita nel 1855 della fotografia commerciale, nello studio di Parigi di André Adolphe Eugène Disdéri, grazie alla quale la borghesia ridefiniva se stessa in parallelo alle genealogie aristocratiche) come oggetto-fatto, dotato di spessore, peso, consistenza al tatto, che necessitava di uno spazio dedicato nella propria abitazione; contrapposto alla digitalizzazione della fotografia, alla smaterializzazione della sua fisicità in bites, conservati sui nostri smartphone oppure in cloud di proprietà altrui.

Il risultato finale della mostra sarà un vasto affresco fotografico, che porrà l’accento sui cambiamenti sopra esposti; alcuni scatti dell’archivio Pautasso, come forma di restituzione, saranno a disposizione del pubblico, che potrà appropriarsene, affrontando così il vertiginoso possesso del frammento di un’esistenza altra e altrui, indecifrabile eppure riempito a vista di significati personali sovrascritti, e la decisione conseguente di conservarlo o meno.

Da una certa distanza, l’opera metterà in luce i macrocambiamenti del mezzo fotografico; da vicino, sarà possibile cogliere lo scorrere del tempo e l’impermanenza di corpi, paesaggi, architetture, mode.

 

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“Pautasso è per Torino ciò che Esposito è per Napoli, ciò che Brambilla è per Milano; è un cognome che riassume un’intera città. Pautasso da pauta, che in piemontese significa fango. Gente venuta dal fango della campagna, che spesso dalla pauta è uscita, ma che ogni tanto c’è ritornata. I cognomi sono importanti, sono racconti in miniatura. (…) Sono flash-bulbs, i sociologi li chiamano così. Flash. Lampi. Sono ricordi cristallizzati nella memoria collettiva come scatti fotografici, come istantanee. (…) In realtà, ognuna delle persone che ci attraversano la vita lascia un piccolo segno nella nostra esistenza, una di quelle scalfitture che, durante le lezioni di meccanica all’istituto tecnico, mi avevano insegnato a chiamare microcricche: dopo che un certo numero di microcricche si sono concentrate in una zona ristretta, il pezzo di metallo si rompe, all’improvviso, e l’aereo cade.”

Alessandro Perissinotto, “Le colpe dei padri”
citato da Elisa Tonani in Enciclopedia Treccani, 13 giugno 2013.

 

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Gulliver si chiamava Pautasso.
Per la precisione, Pautasso Riccardo.
di Silvano Costanzo.

Con quel cognome, non poteva che essere piemontese. E, infatti, nacque a Chivasso nel 1934. Di lui, della sua vita, non si è mai saputo quasi nulla, salvo il fatto che dapprima lavorò come manovale a Settimo e che poi venne assunto in un negozio di materiali elettrici a Torino agli inizi degli Anni Sessanta.

Tanto per dire, non si sa quando rimase orfano – da piccolo, si presume – né chi lo abbia allevato. Non si sa se abbia mai avuto parenti né amici. Di certo, non ebbe fidanzate e tantomeno mogli e figli.

Chi ebbe modo di conoscerlo – ovviamente in modo superficiale – racconta di un tipo schivo che non amava dare confidenze. Un tipo, in apparenza, tutto casa e lavoro. Senza un vizio che fosse uno.

Invece, Pautasso Riccardo – l’uomo dei materiali elettrici – custodiva un segreto.

Quando se ne andò, nel dicembre del 2005, non lasciò ricordi nella mente di nessuno e, salvo pochi spiccioli, non lasciò nemmeno del denaro. Questo, a dire il vero, parve strano perché se uno lavora per tutta la vita e non ha vizi, qualcosa da parte dovrebbe pure averlo messo, no?

E invece niente.

Il perché lo si capì quando, nel suo modesto alloggio, vennero trovati quegli album: decine e decine di album. Sì, Pautasso Riccardo, il bogianen, aveva un vizio segreto. Lo stesso vizio di Gulliver, cioè la passione per i viaggi. Chi l’avrebbe mai detto?

Quegli album ne erano la prova provata perché contenevano migliaia di fotografie scattate, nel corso della vita, nei paesi del mondo che aveva visitato. Più di trenta. Ecco dove andava Pautasso Riccardo quando il negozio dove lavorava gli concedeva le ferie. Ecco dove spendeva tutti i suoi soldi.

Oggi quelle migliaia di fotografie sono uno spaccato del mondo visto con gli occhi di un finto bogianen che, di nascosto, ha trascorso il tempo libero dell’intera sua vita viaggiando. Come Gulliver, appunto.

 

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Roccioletti

 

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Roccioletti

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