Quando mia nonna voleva dire che due erano fidanzati usava un’espressione dialettale molto particolare: “as parlu”, cioè, tradotto letteralmente, “si parlano”.
Il termine “parlarsi” aveva due chiavi di lettura: la prima, immediata, sottolineava come la relazionalità passasse per la parola, attraverso il dialogo; la seconda, metaforica, dove “parlarsi” rappresentava anche tutto quello che – per la cultura del tempo – non si poteva esprimere direttamente, ma solo sottintendere: il gioco di sguardi, darsi la mano, baciarsi.
L’espressione “as parlu” – che si accompagnava anche ad un ammiccamento delicato, un linguaggio non verbale sottolineato magari da un sorriso – era accresciuta di significato, nel rimando da un lato tra la parola e il modo di pronunciarla, dall’altro tra l’oggetto del discorso e il modo di raccontarlo. Quando è arte? Una buona risposta potrebbe essere questa: quando l’opera e il suo pubblico “as parlu”.