L’odio è un fatto complesso. Se scrivessi che è un fatto complesso proprio come l’amore non sarei convincente: si è meno disposti ad ammettere la complessità dell’amore. Nonostante si sia consapevoli della sua complicatezza, all’amore si concede la possibilità di essere, a volte, semplice e bello; cosa che al contrario non si attribuisce mai all’odio. All’odio si cercano cause e giustificazioni che invece non si vogliono dare all’amore; mettere l’amore sul tavolo autoptico fa sentire a disagio più che fare la stessa cosa con l’odio. L’odio è un sentimento riprovevole, culturalmente, lo si può vivisezionare senza sensi di colpa.
Sintetizzare la chimica che provoca l’odio ad alcuni sembra un procedimento pericoloso, ad altri un tentativo di ricondurlo alla sfera delle cose umane, dove umano è sinonimo di rassegnazione ad una natura miserabile. Precipita inoltre, in fondo alla provetta, il senso di pericolo che la parola possa aderire alla sua etimologia greca “otheo” e prima ancora indoeuropea, “uad”: “colpire, ferire”. Che scaturendo dalla sfera del sentimento – le cui conseguenze sono impercettibili – l’odio possa diventare un fatto, misurabile dai sensi: una ferita inflitta alla persona odiata, sangue quanto e di quale consistenza, lacrime quante e quanto a lungo.
Altri ancora infine, con un triplo salto mortale, fanno coincidere l’odio alla sua punizione: chi odia sta già scontando la sua pena, è tempo sottratto all’amore; in una visione qualitativa della nostra esistenza che sia meglio amare piuttosto che odiare. Resta un’operazione chirurgica immaginaria, la rimozione di quella parte del nostro cervello che il neuroscienziato Paul MacLean definisce r-complex: sessuale, territoriale, gerarchica. Ma anche e indissolubilmente temporale, sequenziale, spaziale e semiotica. Al bar diremmo che non c’è amore senza odio, Tommaso d’Aquino invece ci ha dedicato il “De malo”, un tomo alto dieci centimetri.
Ricondurre alla sola invidia l’odio per Gianluca Vacchi è riduttivo, anzi falso. Sia per le cause, sia per le conseguenze, innumerevoli cioè inquantificabili. Se odiare fosse un iceberg nell’oceano della storia culturale e personale, in fatale rotta di collisione ci sarebbe il Titanic che questo odio sia riprovevole, stupido, oppure senza conseguenze; almeno per chi è al timone di un’imbarcazione che definirono Inaffondabile, e invece poi. Se questo odio si concretizzasse in un’azione materiale contro Gianluca Vacchi, ci si sentirebbe colpevoli, ma non meno di quanto sia colpevole l’universo nell’assegnare statisticamente a ciascuno gioie e dolori.
Per i greci “ubris”, la tracotanza, genera “ate”, l’accecamento, e senza che un dio che vorremmo giusto intervenga, da soli, ci si dà la giusta punizione per la propria prepotenza. Guardiamo sui social i video di Gianluca Vacchi, nell’attesa inconfessabile che prima o poi cambi il suo vento, e torni in pari la bilancia cosmica. Non si è disposti ad ammetterlo ma si aspetta che accada tra un mese o un anno, altrimenti non c’è giustizia a questo mondo; è più facile pensarla così, piuttosto che tollerare l’ipotesi che il caso non rispetti le leggi della statistica, e che esista qualcuno che non ricade nell’alternanza del bene e del male.
Per le ferite da ingiustizia si usano cerotti di diverse misure. Cerotti piccoli: è il capitalismo; è la superficialità di chi vede in Gianluca Vacchi un modello invidiabile; è il mondo mediatico. Cerotti grandi: chi lo sa, se Gianluca Vacchi sia davvero felice; è tutta apparenza; pensa alla tua, di vita. Questi cerotti sono contenuti in una valigetta del Pronto Soccorso Esistenziale che alcuni, nonostante sia obbligo di legge, non possiedono. L’utilità di questa valigetta del Pronto Soccorso Esistenziale è paragonabile all’ultimo brano suonato dall’orchestra del Titanic.
A Southampton, poco distante dall’ospedale a cui Banksy ha regalato una sua opera per ringraziare gli operatori sanitari impegnati contro il coronavirus, c’è la copia del monumento commemorativo all’orchestra del Titanic (l’originale era nella biblioteca che andò distrutta durante i bombardamenti della Seconda guerra mondiale). La notte del naufragio quegli otto musicisti continuarono a suonare, per calmare i passeggeri. Il loro ultimo brano fu “Nearer, My God, to Thee”. Lo stesso brano musicale scelto dalla CNN, il primo giugno del 1980, per essere mandato in onda come ultima trasmissione in caso di fine del mondo. Quarant’anni dopo Gianluca Vacchi verrà intervistato dalla CNN.
Suonare durante l’affondamento del Titanic sta alla valigetta del Pronto Soccorso Esistenziale, come l’iceberg sta all’impatto di una mazza da baseball sul femore di Gianluca Vacchi. E’ un atto nel presente, sul quale insistono passato e cause, futuro e conseguenze. Quando l’atto è stato, la storia lo fa diventare azione, compendiando approssimativamente; tralascia l’intero passato e futuro, spiega con pochi arbitrari elementi. Carta stampata, telegiornali e social sono i luoghi dove si assegnano i ruoli di carnefice e vittima; rassicuranti cause per il gesto; dettagli per consolidare strutture culturali e sociali.
L’atto diventa oblio dell’azione nello smemoramento di sé, diceva Carmelo Bene. Né la mazza da baseball né il femore fratturato sono contenuti nella rappresentazione che un media dà della realtà. Durante le proteste contro il razzismo e le violenze della polizia – se fosse una tragedia greca il coro canterebbe dell’odio – per la morte di George Floyd, a Richmond e a Minneapolis sono state abbattute statue di Cristoforo Colombo. Per “buscar el levante por el ponente”, come avrebbe detto lui, si può provare a cancellare ogni attore dalla recita della vicenda del femore di Gianluca Vacchi, e ricostruire il fatto dal solo punto di vista della fisica.
Quanta forza è necessaria per rompere un osso: è un problema complesso. Partendo dalla lettura di “The Pshysics of Baseball” di Robert Adair (NY 1990), si deve calcolare la quantità di moto della mazza; il prodotto della sua massa per la velocità; data la natura dell’impatto breve e intenso, tenere conto dell’approssimazione impulsiva; il concetto di raggio di movimento e di leva; la forza di compressione della mazza sull’osso; il principio di resistenza alla rottura, illustrato da Galileo Galilei nel trattato “Due nuove scienze” già nel 1638.
E ancora: la frazione tra la forza parallela e negativa in modulo rispetto alla direzione esterna della superficie del corpo a cui è applicata, e l’area della sezione trasversale dell’osso; conoscere il carico di rottura dell’osso; il cambiamento dello stato tensionale interno dovuto allo scambio di interazione delle molecole che lo compongono, misurato nel Sistema Internazionale di Unità di Misura in MPa; un femore ha un valore medio MPa di 180 rispetto alla compressione, una resistenza tra i 1.400 e i 2.100 kg per centimetro cubo.
“Eppur, si muove” avrebbe detto Galileo Galilei al tribunale dell’Inquisizione, al termine della sua abiura dell’eliocentrismo. La citazione è un falso, invenzione di Giuseppe Baretti nella sua ricostruzione della vicenda in un’antologia pubblicata a Londra nel 1757. 260 anni dopo Gianluca Vacchi posta ai 12 milioni di utenti che seguono il suo profilo Instagram una sua foto, nella quale indossa un cappello da baseball. “Eppur, si rompe”, si potrebbe direbbe oggi al tribunale dell’Inquisizione, al termine dell’abiura della cassetta del Pronto Soccorso Esistenziale.
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L’opera “Immacolata Concezione”
realizzata in collaborazione con Rossella Ferrero
è stata selezionata per OGA (S)EXHIBITION 2020/2021.
Stay tuner per le prossime performance
a breve dal vivo a Torino e in altre città.
Presentazione dell’opera in anteprima:
OGA Visual Art Exhibitions
(S)EXHIBITION 2020/2021
1 ottobre 2020 > 30 giugno 2021
via Cernaia 15, Roma
Born in 2013, the space of the OGA (Ospizio Giovani Artisti / Young Artists Hospice) organizes exhibitions with contemporary and modern art works that come exclusively from the Collection of the OGA. These works are usually donated to the OGA by the artists themselves in order to create thematic exhibitions that are a continuous reflection on the role of art involvement in today’s society. It’s very important to say that the OGA was born with the ironic intent to exhibit only works made by artists over 35 years of age, in provocative opposition to festivals and institutions that seek only young artists. In any case in the occasion of the VideoArt Exhibitions this limit will not be fully respected. It is true, however, that artists over 35 years of age will have more chances to be selected, trying to respect as much as possible the primary rule of the exhibition space.
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Painbot.
Reloaded art: 29 dic 2019
Spaziature.
Reloaded art: 30 dic 2019
Le regole.
Reloaded art: 9 feb 2020
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uauauauau! I cerotti mi sono piaciuti assai 😀
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Mia nonna lo chiamava “sparatrappo”, i francesi “sparadrap”, gli inglesi “spar drapping”, nel tardo medioevo “sparadrapus”. Ogni cerotto è bello alla ferita sua.
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e adesso ci sono gli steri strip. (Ogni cerotto è bello alla ferita sua, concordo 😀 )
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