SFACEBOOK – il giorno prima di andare via

Quando avviso tutti i miei contatti di Facebook che ho preso la decisione di disattivare il mio account fino a nuovo ordine, ricevo circa un centinaio di commenti. No, ricominciamo: quando scrivo un post e credo che tutti i miei contatti di Facebook (quasi cinquemila, il tetto massimo consentito per un profilo) lo abbiano visto, ricevo circa un centinaio di commenti, che possono essere ripartiti in tre categorie.

Ci sono i contatti tristi. Quelli che commentano con un emoticon che piange, quelli che mi scrivono apertamente mi dispiace, che peccato, ci mancherai. Ci sono i contatti perplessi: ma davvero, sei sicuro, stai sbagliando: non sono d’accordo con la mia scelta, alcuni mi scrivono in privato per dirmi che, per uno come me – e qui si apre un capitolo a parte – smettere di comunicare sui social è un rischio, un azzardo, un errore. Ne sono convinti perché per uno come me – quel me che hanno in mente – per uno che fa arte e scrive, smettere di promuoversi sui social non è una mossa vincente. E poi ci sono i simpatizzanti: bravo, anche io ci sto pensando, sei coraggioso, bella scelta.

Assisto al mio funerale digitale. Non manca il commento sono sempre i migliori che se ne vanno per primi. Sono davvero sorpreso: è una specie di morte, quella che dal loro punto di vista sto vivendo, un singolare suicidio, una partenza per un luogo lontanissimo, irraggiungibile. Ed è anche sorprendente che nessuno mi abbia chiesto: perché questa decisione?

Già, perché. Immaginando che avrei ricevuto molti messaggi privati, su Messenger oppure su Whatsapp, ho preparato una risposta preconfezionata. Alcune motivazioni artistiche: ho sperimentato a lungo il connubio arte-comunicazione. Alcune mie performance erano incentrate sull’interazione digitale, a distanza. Adesso vorrei dedicare del tempo all’arte, e ho meno tempo tempo e risorse da spendere nella comunicazione (che non è il mio lavoro). Vorrei riflettere con calma su tutta una serie di effetti paradossi: ad esempio il fatto che l’immagine dell’arte sui social induca a pensare che basti stare lì a guardarla su uno schermo, invece che uscire di casa per andare a vederla di persona. So che è un rischio, non comunicare: ma lo faranno le gallerie e gli spazi dove porterò le mie performance, perché (anche) quello è il loro lavoro, e gli amici che credono in quello che faccio. E alcune motivazioni esistenziali: ad esempio la sovrapposizione vischiosa tra arte, vita privata e comunicazione. Devo pensarci su. So che basterebbe “non collegarsi”, ma la tentazione sarebbe sempre forte. Voglio indagare, guardandolo da lontano, e sottraendolo, questo meccanismo di “costruzione immaginata” della vita degli altri e della propria, a partire da poche fotografie e un po’ di testo, spalmati su un tempo scandito da un wall a scorrimento. Cercherò un nuovo equilibrio tra la comunicazione “de visu” e altre forme di dialogo e condivisione.

Dicono che di bei propositi sia lastricato l’inferno. Non so realmente che cosa accadrà: come reagirò io e come reagiranno gli altri, che cosa cambierà davvero nella mia vita oppure nella mia arte. Faccio delle ipotesi, me le annoto per vedere se sarà così, ma è una lotteria e – anche solo statisticamente – ci sono tanti altri numeri che possono essere estratti, e che nemmeno avevo considerato. La metafora è sbagliata. Non si tratta di vincere o perdere, anche se antropologicamente siamo abituati a ragionare così. Causa, effetto. Minimo sforzo, massimo risultato. Risorse scarse, loro uso più efficace. E nemmeno ci rendiamo conto di ragionare così, molto spesso, a discapito di altri aspetti dell’esistenza che necessitano tempi e modalità diverse da quelle economiche, nel senso più alto del termine.

La prima e la più importante considerazione – ma sono certo che mi ricrederò, e ce ne saranno altre più significative – riguarda il fatto che sarò impossibilitato a mostrare. Tutti scegliamo che cosa far vedere e che cosa non far vedere, su Facebook, in un processo di costruzione della nostra immagine, della nostra identità. Constatazione davvero banale, non è così? alla quale però aggiungerei altri aspetti. Il fatto, ad esempio, che non sempre siamo consapevoli di quello che stiamo mostrando, e di quello che stiamo tacendo. Mi sono sempre chiesto se esiste una sorta di comunicazione non verbale anche sui social: una certa fotografia che sto postando veicola contenuti che ho scelto di far vedere, di spingere avanti, ma ne ha altri di cui non mi sono accorto, e dall’altro lato dello schermo chi la vedrà potrebbe anche interpretarla diversamente da come vorrei io.

C’è un paradosso a cui mi piace pensare, una piccola situazione assurda che però mette in luce questo aspetto. Immaginiamo che su Facebook ci sia un utente che decide di postare ogni cosa che fa nella sua vita. Che descriva tutto. Anche le cose sgradevoli. Anche quelle insignificanti. Un utente completamente sincero, un entomologo che cataloga ogni istante-insetto della propria esistenza. Al netto dell’algoritmo di Facebook che mostra ma non mostra, come sarebbe considerato dagli altri utenti? Un pazzo, probabilmente. Ma è un paradosso: perché lui, il pazzo, sta davvero travasando la sua vita sui social, mentre gli altri fanno una selezione, più o meno consapevolmente.

Non possiamo sottovalutare la capacità (o meno) di far vedere, di mostrare, di spiegare. Possiamo avere i migliori concetti da esprimere, ma se non sappiamo farlo, il risultato sarà comunque diverso da quello che avevamo sperato. Non è facile maneggiare testi e immagini. Pensiamo che lo sia, ma non è così: non siamo tutti copywriter. Saper scrivere oppure saper fotografare non significa saper scrivere in modo efficace, e saper trasmettere qualcosa con uno scatto. E infine, la grande illusione di essere visti. Quando postiamo qualcosa, non è vero che sul wall a scorrimento, sul feed delle news, tutti i nostri contatti lo vedranno.

Queste sono alcune premesse. Un poco alla volta, il mio diario Sfacebook proverà a raccontare che cosa succede qui, un passo fuori da questo social. In attesa della prossima pagina, letture consigliate:

> Byung-Chul Han, La società della trasparenza, Nottetempo
> Collettivo Ippolita, Anime elettriche, Jaca Book
> W.J.T. Mitchell, Scienza delle immagini, Johan & Levi
> Davide Sisto, La morte si fa social, Bollati Boringhieri

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