Roccioletti

Pubblico privato.

Pubblico privato.
Corpi, oggetti, platea.
Performance, 2023.

Public private.
Bodies, objects, parterre.
Performance, 2023.

Public privé.
Corps, objets, parterre.
Performance, 2023.

In occasione dei 50 anni dalla riapertura del Teatro Regio di Torino. Con Vanessa De Petris, Vincenzo Bruno, Flavio Piazza, Enrico Valle. In collaborazione con Art in Taxi.

Special thanks: Manuela Alessandria, SarahSilke Tasca, Rossella Ferrero.

 

Il foyer, nella sua architettura psicologica, è una soglia estesa nel tempo e nello spazio, e non una linea netta di demarcazione tra il pubblico che si muove per vettori finalizzati, e il pubblico che sta per una ragione specifica: assistere.

 

Roccioletti

 

Se prima della Rete e dell’algoritmo il foyer serviva ad accompagnare un passaggio di stato – gli antichi greci forse non avevano bisogno di farne esperienza, il mito era presente anche nella vita quotidiana – oggi il foyer non perquisisce né requisisce il pubblico del cellulare cordone ombelicale che lo lega all’akasha tecnopagano, questa sterminato archivio fluido di big-data.

 

Roccioletti

 

Certo, prima di ogni rappresentazione una voce senza corpo avvisa corpi senza voce – pubblici nello stare spettatori, privati ai loro posti assegnati – di spegnere le suonerie dei cellulari. Ma il corporeo, l’organico, tutto contenuto in un paradigma di presenza composta, è lì sotto la superficie della pelle: i suoi sommovimenti involontari, un colpo di tosse, uno starnuto, la sua memoria muscolare, uno sguardo che va all’orologio, una torsione del busto per scoprire chi occupa il posto dietro al nostro.

 

Roccioletti

 

Abbiamo usato la forma delle arti performative, per portare alla luce del buio della sala tutta la voce del corpo che abitiamo e con il quale conviviamo: quello vestito di precetti culturali e sociali, quello scalpitante nelle sue espressioni chimiche di gioia noia dolore empatia compassione rabbia, quello quotidiano senza possibilità di divorzio, quello che ammicca allo specchio della toilette mattutina. Quello che accostiamo al corpo altrui, sentendone il vociare silenzioso.

 

 

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Suggerimenti di lettura.

 

“Ultimamente è stato molto discusso il ruolo che può avere il guardare nella crescita esistenziale dell’essere umano, come pure il potere, perfino insopportabile, delle immagini: guardare come azione essenziale perché l’uomo si ponga come soggetto, e quindi come operazione da recuperare rispetto a un controllo dell’immagine, da parte del potere, che assicura il silenzio del pensiero. Sono dibattiti che spesso ci riguardano poco, concernono i gesti d’arte (come percorso di resistenza), ma raramente o solo indirettamente il teatro. Possono essere ugualmente utili a far riflettere anche sulla questione dello spettatore teatrale. In primo luogo ci confermano quel che già sappiamo, in quanto studiosi di teatro, e che viene ugualmente sempre messo in discussione: come il guardare non sia semplicemente un atto passivo, e non sia necessariamente di rimessa rispetto a quel che viene proposto in scena, come coinvolga l’intero essere, e possa trasformarlo. Sono considerazioni antiche, come lo è il teatro, sono temi fondamentali, che perciò tornano. E.T.A. Hoffmann aveva già scritto qualcosa di simile nella Principessa Brambilla due secoli fa: il teatro come magica fonte, guardando la quale si può riconoscere se stessi. Ricordarlo ora, in un momento in cui la domanda di teatro riguarda chi lo fa molto più di chi intende guardarlo, acquista un senso particolare.”

Da “Spettatore, spettatori, pubblico”,
Mirella Schino, in Mimesis Journal, 2018.

 

“Lo spettacolo cessa di esistere non appena la sua produzione è compiuta, e rapidamente si alterano, come è facile constatare se si intervistano dopo alcuni anni i testimoni degli spettacoli, anche i dati della memoria. Possono restare ovviamente dei reperti e dei documenti, che nei casi più fortunati comprendono il copione con le note di scena, alcuni elementi della scenografia, i bozzetti dei costumi, i resoconti di critici e recensori particolarmente attenti, e via dicendo. Ma si tratta di documenti e non dell’opera. Lo spettacolo, in realtà, si costruisce solo nel rapporto che si instaura tra le sue diverse componenti, e perciò ognuna di queste, presa separatamente, scade a semplice documento, a indizio, a strumento per una ricostruzione ipotetica e immaginaria dell’evento. La nascita della fotografia, della cinematografia e della registrazione televisiva non risolve il problema realmente, in quanto manca sempre la presenza del prodotto. Anche come fonti di documentazione queste hanno limiti ben precisi: alterano l’effetto delle luci, colgono l’azione da un’angolazione particolare, offrono solo lo scorcio di una scena complessiva, non riescono a dare una rappresentazione del rapporto che si instaura tra l’azione scenica e la situazione ambientale, tra il movimento dello spettacolo e la reazione del pubblico e soprattutto rappresentano sempre l’azione nel susseguirsi di inquadrature diverse scelte dal regista per lo spettatore, riducendo, quindi, la libertà dell’occhio di chi guarda. Offrono una visione costruita e selettiva della rappresentazione teatrale, mentre lo spettatore, in sala e dal vivo, coglie lo spettacolo in modo del tutto differente, associando cioè l’immagine globale della scena, che conserva costantemente davanti a sé, al rilievo, all’interno di questa immagine, di particolari diversi, su cui concentra, momento per momento, la propria attenzione. Lo spettacolo teatrale si costruisce come tentativo di porre efficacemente in relazione diversi linguaggi artistici, e nel suo concreto svolgimento, di fronte al pubblico, sollecita una fruizione che assume indubbiamente caratteri estetici. Indagare il fenomeno teatrale eliminando la considerazione del suo aspetto artistico significa, quindi, trascurare uno dei suoi principali tratti distintivi.”

Da “Il pubblico del teatro in Italia”,
F.Sciarelli e W.Tortorella, Electa 2004.

 

“Siamo ormai chiaramente lontani dalla feroce caricatura che giudicava lo spettatore ordinario «un essere atrofizzato, paralizzato, handicappato. O come un prigioniero» («Le spectateur ordinaire a été decrit comme un être atrophizé, paralysé, handicapé. Ou comme un prisonnier», Marie-Madeleine Mervant-Roux, 1998). Ma è innegabile che la passività dello spettatore abbia goduto nel recente passato di una pessima fama, anche in una prospettiva politica, soprattutto nell’ambito dei media studies: è stato duramente stigmatizzato l’atteggiamento succube dello spettatore televisivo, che diventa dunque facilmente manipolabile dalla pubblicità o dai politici, tanto per cominciare. Questa condanna ha radici antiche: il precedente probabilmente più illustre è la Lettre sur le spectacles di Jean-Jacques Rousseau, che condanna i teatri e privilegia invece la festa, in cui tutti partecipano allo stesso modo: per Rousseau il problema non sono tanto i contenuti (sotto attacco nell’antica polemica della chiesa contro il teatro) ma la forma stessa della comunicazione, con la divisione tra attori e spettatori. Più di recente, la condanna è stata ribadita da Guy Debord, il teorico della società dello spettacolo. Per Debord la passività dello spettatore diventa la regola di comportamento delle masse contemporanee, e di fatto cancella la possibilità di qualunque esperienza reale, così come quella di qualunque azione politica. Con questi retroscena, la tendenza all’attivazione del pubblico è inevitabile, anche perché trova altre motivazioni sia nel processo di democratizzazione della cultura e delle arti, sia più specificamente nella storia del teatro. Secondo Marco De Marinis, si è affermata addirittura una «ideologia partecipazionista» che ha le sue radici nelle rivoluzioni teatrali del primo Novecento, che hanno messo al centro la relazione attore e spettatore: la formulazione più chiara è la celebre formula di Grotowski che considera l’attore e lo spettatore elementi costitutivi dell’evento teatrale. La riduzione tendenziale del teatro a un rapporto dialogico ha emarginato dalla relazione (almeno in apparenza) il terzo polo della relazione: il Principe, ovvero il potere politico. Nel momento stesso in cui è diventata esplicita e così esigente, la relazione tra attore e spettatore si è immediatamente (e inevitabilmente) trovata in pericolo, avverte De Marinis, a causa di due derive opposte ma concordanti: A) eliminare lo spettatore, andando verso un teatro senza spettacolo: il pubblico, se esiste, viene ridotto a testimone di un’esperienza alla quale di fatto resta estraneo; B) trasformare il pubblico in partecipante: lo spettatore si trova inserito fisicamente nello spazio dello spettacolo e viene spinto ad agire, a fare.”

Da “L’arte dello spettatore.
Per una fenomenologia del pubblico teatrale”
Oliviero Ponte di Pino, Ateatro, 2021.

 

Bibliografia minima

M.Mondzain, Homo spectator. Voir fair voir 2013
M.M.Mervant-Roux, L’assise du théâtre, 1998
L.Allegri, Manuale minimo dello spettatore, 2018
M.Schino, Spettatore, spettatori, pubblico», 2018
G.Sofia, Le acrobazie dello spettatore. Dal teatro alle neuroscienze e ritorno, Bulzoni.

 

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Per scaricare il file del video, clicca qui.

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