“Tanto contento di frugare nel microcosmo umano
(e di gridarlo divino e tragico
in faccia alla stupidità e al silenzio)
quanto di non riuscire a pigliarne con le mani
e a definirne, con rigorosa certezza,
salvo la divinità – tragicità fondamentale,
niente.”
– Guido Ceronetti
Sentire il proprio nome pronunciato da qualcuno in mezzo alla folla.
C’è la ricerca, inconcludibile inconcludente o forse conclusa in essa stessa; ed è la ricerca di uno stato di grazia che avviene. Questo stato di grazia avviene nell’istante; ma al tentativo della sua narrazione – per provare a descrivere quello che si cerca o quello che si è provato – si colloca nel passato o nel futuro, mai nel momento della sua descrizione.
Vedere tra tutte le foglie autunnali che cadono proprio quella e seguirne i movimenti nel vento finché.
Questo stato di grazia forse avviene perché non si frappone l’ostacolo delle parole. Quando invece si prova a produrre a parole, scivola avanti o indietro nel tempo, e altrove nello spazio. L’ostacolo delle parole non è soltanto il tentativo della sua descrizione, ma anche il tentativo di prenderlo e comprenderlo, riprodurlo a forza; al contrario avviene perché viene cercato prodotto concesso un segmento libero.
Addentare un frutto sconosciuto scoprendolo dolce, o amaro, nonostante il suo colore.
Questo segmento libero è lo spazio e il tempo della performance; è libero perché nel suo intervallo non avvengono tutta una serie di fatti. Alcuni di questi fatti sono: il vociare dell’io e le sue autonarrazioni. I riempitivi distrattivi della vita che seppelliscono l’esistenza organica silenziosa. I giochi di prestigio della volontà quando non si vogliono indagare le cause profonde dell’agire. L’uso dell’oggetto senza la consapevolezza dell’essere, per contraltare, usati dall’oggetto. La razionalità economica.
Sfiorare per sbaglio la mano di uno sconosciuto sull’autobus.
Questo segmento è libero perché nel suo intervallo avvengono tutta una serie di fatti. Tra tutti, il primo, è il silenzio. E’ il silenzio che accade quando si smette di abbellirlo riempirlo di significati che non ha. E’ il silenzio dentro al quale riverberano accecanti i pensieri, il desiderio di stare o andare, il bisogno soprattutto di chi o che cosa.
La commozione del non saper descrivere a parole l’odore della pelle della persona amata.
È il silenzio così privo dell’io che finalmente punta il riflettore sull’io, su cosa è e cosa non è. Tuttavia, non lascia parole per descriverlo, bensì l’esasperazione di non avere altro che parole per farlo e la necessità vitale di farlo con parole che non basteranno. Durante la performance, quando avviene lo stato di grazia, si entra a contatto, si è immersi e infine si diventa il silenzio. Istintivamente si cerca di trattenere il fiato, sperando di tornare in superficie al più presto, poi – per imprudenza, coraggio, debolezza e resa – si lascia entrare, si è entrati da quel tipo di silenzio.
Quel silenzio è privo del linguaggio ipocrita che traduce, trapassa e tradisce. E’ il linguaggio profondo di cui non conosciamo nemmeno un vocabolo ma che ci parla continuamente. E’ come uno scrittore – che conosce bene la parola che sta scrivendo nel momento in cui la scrive – ma che non saprebbe decifrare la sua stessa scrittura un istante dopo. Avviene in quel momento, ma ogni sua successiva decifrazione è stratificare alibi e ragioni, alibi e ragioni.
A segment.
Selection of images from video.
Performance, 2021.
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