“E poi c’era questo scienziato, non ricordo il nome, che ha fatto un esperimento con due scimmie, messe in due gabbiette una accanto all’altra.”
Il ragazzo accanto a me – capelli legati dietro la nuca e camicia stirata – si rivolge a quella che presumibilmente, data la distanza mantenuta da lei, non è la sua fidanzata, ma che lui vorrebbe lo diventasse, visto l’impegno che ci sta mettendo per fare bella figura; riprende il filo del discorso tra un brano e l’altro del concerto, il pubblico del locale non ha ancora finito di applaudire che lui di nuovo passa all’attacco. Avvicino la bottiglia alle labbra, bevo, sento la birra disegnare il suo tragitto lungo il mio esofago, fin nello stomaco, una piccola stella fredda nel caldo del locale umido e rumoroso.
“Quando la prima scimmia gli dava un sasso, lo scienziato la ricompensava con un acino d’uva; alla seconda, invece, per ogni sasso, in cambio solo un pezzetto di cetriolo. Avresti dovuto vedere quest’ultima, come si arrabbiava, aggrappandosi alle sbarre della gabbia e urlando.”
Il ragazzo deve aver visto quel video in internet, non è una storia molto indicata per fare colpo, la ragazza accanto a lui conferma di pensarla come me: guarda l’orologio, impaziente. Noto il cinturino, di cuoio con piccole borchie, stona con il suo abbigliamento elegante e misurato, quasi da ufficio. Controllo anch’io l’ora: a breve dovrebbe essere il nostro turno. Il locale non ha camerini né quinte, e i musicisti delle band, noi compresi, aspettano di suonare seduti in mezzo al pubblico.
Noi: la mia ex fidanzata, con la quale sono rimasto in buoni rapporti, ed io. Lei voce, io chitarra. Ho visto poco fa, qualche metro dietro di noi, il suo attuale fidanzato scattare una fotografia in direzione del palco, controllare sullo schermo le impostazioni della macchina, prepararsi a documentare la nostra esibizione. I tre che stanno suonando ora si imbarcano in una versione jazz troppo veloce di Feeling good, ma non c’è magia, hanno perso quel filo invisibile con il pubblico che ogni artista onesto sa quando è saldo e quando si è spezzato. Sono scarsi, faremo un figurone, mi avvicino all’orecchio della mia ex e glielo dico.
Lei mi guarda, sorride, torna con l’attenzione al palco, ma appoggia la testa sulla mia spalla destra. Un po’ perché è stanca, ha lavorato tutto il giorno come me che di musica non si campa, un po’ come gesto canzonatorio rispetto alla mia valutazione dei tre che stanno suonando. Da quando ci siamo lasciati, più di due anni fa, ci vediamo giusto una volta alla settimana, in sala prove, qualche telefonata, ma niente di che. Ciascuno ha la sua vita, come si suol dire.
Appoggia la testa sulla mia spalla, e sta lì, ferma. Aspetto un secondo, poi un altro; adesso si sposta, mi dico, alza la testa e torniamo ciascuno nella propria parte; e invece no, resta lì, con la testa appoggiata, immobile. Istintivamente mi irrigidisco. Mi chiedo se il suo attuale fidanzato, dietro di noi, stia vedendo la scena; e mentre sento nell’aria l’odore di fumo di sigaretta, che qualcuno poco distante da noi si è acceso incurante dei cartelli di divieto del locale, mi accorgo di una cosa che non so se sia bella oppure brutta, giusta oppure sbagliata, come un osso del corpo che è sempre stato lì, ma un movimento strano, mai fatto prima, ha portato sotto il velo della pelle, ed uno si chiede se sia normale, se siamo tutti fatti così, oppure no.
La testa di lei, sulla mia spalla, non mi suscita reazioni che mi sarei aspettato. Ne avverto il peso, il solletico dei capelli sul mio collo – li ha lasciati crescere, da quando… – ma tutto questo resta all’interno di un fotogramma ben preciso, non mi perdo nei ricordi e resto dove sono i miei piedi: non provo nostalgia, non sento dolore, rimpianto oppure desiderio. Mi chiedo perché. Forse non mi importa di averla persa, forse non l’ho mai amata, forse al dolore ci si abitua a forza, per spirito di sopravvivenza; forse perché – al contrario – l’ho amata così tanto da non provare ora, egoisticamente, gelosia per il fatto che non stia più con me, e che sia felice con un altro.
Questi pensieri hanno spento per me l’audio del nuovo pessimo brano dei tre sul palco; vorrei riflettere ancora su questa strana compresenza di possibilità così antitetiche, ma il mio vicino – la sua voce irritante – riprende con l’esperimento delle due scimmie. La ragazza che lui sta cercando di conquistare non lo guarda nemmeno più, annuisce solo e tiene lo sguardo fisso sul palco. Dovrebbe averlo capito, ormai, che è una battaglia persa: ogni suo nuovo tentativo fa pendere l’ago della bilancia dal lato del no. Fossi in lui, opterei per una decorosa ritirata.
“E quindi hai capito, così umana questa cosa, no? Delle due scimmie la seconda, quella con la ricompensa minore, che vede l’altra e prova una cosa che potremmo definire senso di ingiustizia…”
Applausi, i tre jazzisti finalmente hanno finito, inchino, saluto, ora tocca a noi. La mia ex fidanzata si alza, va verso il palco; prendo la chitarra, ma: indugio un attimo. Prima dell’ultimo gradino lei si accorge che non l’ho seguita, si immobilizza, mi guarda con un misto di stupore e di rimprovero. Io osservo la coppia accanto a me. Lo faccio, non lo faccio. Lo faccio, non lo faccio.
“Non è la seconda scimmia che mi incuriosisce” dico al ragazzo molesto accanto a me.
“Scusa?” fa lui, non ha capito.
“Non è la seconda scimmia che mi incuriosisce” ripeto, mentre gli applausi del pubblico stanno per fermarsi, manca poco e sarà evidente che sto tardando a salire sul palco per farmi i fatti miei; la mia ex fidanzata resta lì, pietrificata, non sa se scendere, salire, aspettarmi, cosa fare. Adesso ho l’attenzione di tutti e due, del molesto e della sua mancata preda.
“In che senso?” mi chiede lui, tra il guardingo e l’aggressivo.
“Nel senso che è la prima scimmia, la chiave dell’esperimento” gli spiego.
La ragazza che ha accanto sorride, riconoscente che qualcuno abbia dato una piccola svolta alla serata. Lui mi guarda ancora, le labbra piegate all’ingiù, in un’espressione di domanda, non in merito alla scimmia bensì al perché mi sia intromesso in quella che lui definirebbe conversazione, ma è ovvio che è solo territorio di caccia.
Mi incammino verso il palco, e intanto gli dico: “La prima scimmia non si sogna nemmeno di condividere il suo acino d’uva. Questo è più interessante della rabbia della seconda scimmia, quella ricompensata meno.”
Poi tutto riparte come da copione; siamo sul palco entrambi, la mia ex ed io. Era uno sguardo di rimprovero, quell’ultimo che mi ha lanciato? Non lo so, me lo spiegherà dopo, o forse mai, non ce ne sarà bisogno. Mi siedo, aggiusto il microfono, collego la chitarra al cavo dell’amplificatore; anche se ho già suonato su un palco molte volte, ho guardato per un attimo verso uno dei faretti puntati su di noi: resto abbagliato, ma le mani vanno da sole dove ricordano, ho già le dita sulle corde della prima nota. Nonostante l’applauso del pubblico, posso sentire distintamente lo scatto dell’otturatore della macchina fotografica del nuovo fidanzato della mia ex, e lei in quel preciso istante inizia a cantare.
Qualche ora dopo il concerto, così, dal nulla, la mia ex fidanzata mi dirà: “Sono uguali”
“Cosa?” le chiederò.
“Acini d’uva e cetrioli”
Capirò che ha ascoltato anche lei la conversazione del molesto con quella ragazza.
“Ma che dici”
“Sul serio. Sono entrambi frutti”
“L’uva è un frutto, il cetriolo è una verdura” puntualizzerò.
“Ti sbagli. Entrambi nascono da un fiore, e contengono semi”
“E quindi?”
“E quindi sono frutti. La verdura invece nasce da foglie, fusti e radici”
“…”
“Controlla su internet” mi dirà, facendo l’occhiolino.