“L’estro mi porta a narrare
di corpi mutati in forme nuove.”
– dalle Metamorfosi di Ovidio.
Lui le scrisse più di 25.000 lettere, lei non tornò mai da lui. Si sposarono nel 1924. Si conobbero nell’inverno del 1908, nella galleria d’arte di lui, al 291 della Fifth Avenue di New York, durante una mostra di acquerelli di Rodin. Lui fotografo, lei pittrice. Tra di loro c’erano 23 anni di differenza, l’introversione di lei, la prima moglie di lui.
Lui lavorava a immagini pure e dirette, scaturite dalla realtà, senza filtri o composizioni della scena: “la fotografia è la mia passione, la ricerca della verità è la mia ossessione”. Uscì dalla crisi creativa – la fotografia Americana stentava ad affermarsi come forma d’arte indipendente – nel 1918, riprendendo a fotografare il corpo di lei.


Fino al 1929 lei dipinse a olio architetture ispirate agli edifici di New York. Iniziò poi a frequentare gli spazi aperti del New Mexico, ritraendo fiori, rocce, conchiglie e ossa, con profili e colori tali da trasfigurarli in forme astratte. Fu durante una visita al cottage di D.H.Lawrence, presso il suo ranch poco a sud di Taos, che dipinse “The Lawrence Tree”.
Lei dipinse quell’albero, che si stagliava sul cielo notturno, sdraiata sulla panca dove D.H.Lawrence pochi anni prima aveva scritto “Il serpente piumato”, e durante il periodo delle furiose censure dell’Amante di Lady Chatterley. Il quadro fu esposto in numerose mostre, ma quasi sempre al contrario, nonostante le lettere di protesta di lei alla sua curatrice, Mabel Dodge Luhan.

Lui aveva una relazione con Dorothy Norman, sposata, fotografa come lui. Nel 1940 lei comprò casa nel deserto del New Mexico, tornando a New York solo qualche volta, d’inverno, per restare accanto a lui. Lui morì 6 anni dopo, lei gli sopravvisse 19 anni, durante i quali dipinse soprattutto nuvole. Anche lui, negli ultimi dieci anni, le aveva fotografate. “Ho voluto fotografare le nuvole per scoprire ciò che avevo appreso in quarant’anni di fotografia […] le nuvole sono lì per tutti. Sono libere.”
Lei si chiamava Georgia O’Keeffe, lui Alfred Stieglitz.
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che forza quel bacio!
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Ed è subito Hayez.
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Ai tempi dell’Università, nell’esame di storia della fotografia ho studiato Stieglitz e i suoi ritratti di e con Giorgia O Keefe, lei aveva sempre uno sguardo così malinconico, molto enigmatico a mio parere ma comunque ricco di dettagli e con la luce sempre perfetta. Secondo me Stieglitz è stato uno dei pionieri della fotografia ritrattistica e, comunque, uno dei migliori del ‘900.
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Grazie per il tuo commento. Questo (doppio?) tentativo di Stieglitz di sottrarre il fotografo alla fotografia e lasciare che il soggetto parli da sé è davvero interessante – e forse si ripresenta in questioni contemporanee – mi piace immaginare quali possano essere stati i suoi pensieri di fronte a scatti che lo ritraevano con la O’Keeffe, quale verità ne venisse fuori, e come si potesse accostare alla verità dei fatti della loro relazione. Riprovo: “la verità assoluta” dello scatto da lui cercata, come si potesse accordare con la sua vicenda esistenziale controversa. Questo è un tema umano importantissimo.
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