Ad ogni deriva involontaria ci sono poli attrattivi che vogliono riportarci sulla retta via, e li chiamiamo riferimenti geografici, perché ci siamo persi. Ad ogni deriva volontaria ci sono poli attrattivi che vogliono riportarci a casa, e li chiamiamo sensi di colpa, perché abbiamo paura. Alcuni di questi poli attrattivi esistono da molto tempo, cambiano lentamente così che abbracciano l’intera durata delle nostre vite, li consideriamo stabili dati per sempre, sono montagne, laghi, promontori, città se abbiamo la fortuna di non vedere guerre che le cancellano. Alcuni di questi poli attrattivi sono convenzioni sociali, più o meno condivise da più o meno persone, e sono “hic sunt leones” sulle zone incomplete delle mappe antiche, confini, dogane, “Chi siete, cosa portate, un fiorino.” A questa seconda categoria di punti di riferimento appartengono i poli dell’inaccessibilità.
Le derive volontarie o involontarie allontanano le cose o le persone, così da renderle irraggiungibili. Le cose o le persone possono essere inaccessibili nello spazio, quando sono in luoghi remoti, sconosciuti; e nel tempo, quando ne serve troppo per scovarle oppure percorrere la distanza che ci separa da esse. Le cose o le persone possono essere irraggiungibili a causa delle leggi fisiche di questa parte di universo, perché l’entropia le ha cambiate oppure distrutte; possono essere inaccessibili per convenzioni sociali, perché si ritengono intoccabili oppure pericolose; possono essere introvabili nella memoria, perché la neurofisiologia del cervello non le ricorda o le ha sabotate; infine possono essere irraggiungibili per revisionismo storico oppure damnatio memoriae, quella pena del diritto romano che le condannava alla cancellazione totale.
Il Polo Oceanico dell’Inaccessibilità è il punto geografico più lontano da qualsiasi terra emersa, situato nella parte meridionale dell’Oceano Pacifico, le coste più vicine distano 2688 chilometri, ed esiste per tre ragioni. E’ il Point Nemo, calcolato nel 1992 dall’ingegnere croato-canadese Hrvoje Lukatela, cimitero sottomarino per i frammenti sopravvissuti al rientro nell’atmosfera dei veicoli spaziali destinati alla distruzione. E’ anche il luogo dove H.P.Lovecraft, nel suo racconto “Il richiamo di Chtulhu” del 1926, colloca R’lyeh, città sommersa dove un dio alieno sogna e attende eternamente. Infine, è il punto in cui nel 1997 gli oceanografi del NOAA registrano il Bloop, suono sottomarino che ancora desta la curiosità degli appassionati di mistero e cospirazioni, e probabilmente fu il rumore dello sfregamento tra due piattaforme di ghiaccio.
L’universo ci abbaglia con la sua vastità ma è piccola l’isola che di esso possiamo abitare, racchiusa in una bolla atmosferica nella quale la storia si ripete, e mentre l’umanità è attenta che gli eventi che si dicono impossibili oppure indesiderati non si ripresentino, questi sempre ritornano, nel punto cieco per genetica oppure per cultura del nostro sguardo, in forme che non sospettiamo. Così la damnatio memoriae in Ucraina viene ribattezzata Leninopad, e all’Indipendenza (1991), alla Rivoluzione Arancione (2004) e alle proteste di Euromaidan (2015) delle 5.500 statue di Lenin abbattute, prese a martellate, rimosse, gettate nei fiumi, ne resta in piedi una, perché inaccessibile, nell’atmosfera radioattiva di Chernobyl. Un’altra, invece, rimane al suo posto perché collocata in un altro Polo di Inaccessibilità.
Il Polo Sud dell’Inaccessibilità è il punto del continente antartico più lontano da qualsiasi linea costiera e da qualsiasi luogo antropizzato, si trova a 463 chilometri dal Polo Sud e a 3718 metri sul livello del mare. Lo raggiunge per la prima volta Eugenij Ivanovic Tolstikov, il 14 dicembre del 1958, con una spedizione sovietica che ha il compito di realizzare una stazione di ricerca e rilevamento atmosferico. Sono in quattro, in una stanza di 24 metri quadri, si fermano in quel luogo dal 14 al 26 dicembre e poi ripartono. Prima di andarsene posizionano sul tetto della stazione un busto di Lenin, in plastica, con lo sguardo rivolto nella direzione di San Pietroburgo. La Guerra Fredda è in piena escalation, appena due anni prima durante un ricevimento presso l’ambasciata polacca a Mosca Nikita Chruščëv dichiara agli ambasciatori occidentali: “Che vi piaccia o meno, la storia è dalla nostra parte. Vi seppelliremo”. Più di uno storico sospetta che la stazione di ricerca abbia avuto a che fare con spionaggio militare, sottomarini e armi nucleari a lungo raggio.
Durante le proteste per l’uccisione di George Floyd negli USA vengono abbattute decine di statue di leader politici e militari implicati nella segregazione razziale, altre – quelle di ex presidenti che hanno sfrattato le popolazioni indigene oppure che possedevano schiavi – sono rimosse preventivamente dalle autorità. Nel Regno Unito i manifestanti distruggono la statua di Edward Colston, coinvolto nella tratta degli schiavi sull’Atlantico; in Belgio vengono bruciati i monumenti di re Leopoldo II, che regnò sul Congo dal 1885 al 1908; a Parigi si imbrattano le statue dell’era coloniale dedicate a Voltaire, la cui ricchezza in parte derivava dalla tratta degli schiavi, e quelle di Hubert Lyautey, generale che amministrò le colonie francesi. Si sposta fisicamente il confine di ciò che si vorrebbe per sempre irraggiungibile, a forza di braccia.
A forza di gambe, il Polo Sud dell’Inaccessibilità viene raggiunto nel 2007 da britannici e canadesi, nel 2008 da norvegesi e statunitensi, nel 2019 da una donna cinese, accompagnata solo da due guide. Gli altri usano in parte mezzi meccanici oppure snowkites, tavole trainate dal vento; “l’unica via è mettere un piede davanti all’altro”, dichiara Feng Jing prima di intraprendere il cammino di 90 giorni che la porta alla stazione meteorologica sovietica ormai sepolta, e al busto di Lenin ancora visibile e in buono stato. 13 anni prima, l’artista Lita Albuquerque sceglie il Polo sud per la sua opera “Stellar Axis”, posiziona 99 sfere blu allineandole con le 99 stelle delle costellazioni del cielo dell’Antartide. Un secondo dopo che l’opera è terminata, all’irraggiungibilità dell’opera nello spazio si aggiunge quella nel tempo: la rotazione e l’orbita terrestri fanno sì che le sfere si disallineino rispetto alle costellazioni. Abitiamo una deriva, e abitiamo lo sforzo di ciò che vorremmo tenere a noi stretto.
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che bell’articolo 😀
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Grazie, Endorsum 🙂
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🙂
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