solosuinvito

Solosuinvito è stato un esperimento performativo che ha visto coinvolto il proprietario di un appartamento, che ha messo a disposizione il suo “luogo privato” per ospitare una performance destinata ad un pubblico ristretto. La performance non è stata ripetuta e vivrà solo del racconto di quelli che l’hanno vista e partecipata, assolutamente non per una questione elitaria bensì per una sorta di messaggio specifico sulla centralità dello spettatore: la responsabilità, per quindici persone, di essere testimoni di un visto, la consapevolezza che la performance ha solo loro come depositari di un vissuto.

 

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La “provocazione”, nel senso di invito ad avere una reazione, a prendere consapevolezza di un fatto, parte anche da considerazioni sull’attuale panorama espositivo e performativo, sulle dinamiche di invito e partecipazione del pubblico, sulla questione degli spazi convenzionali e non convenzionali.

 

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La performance prevedeva la relazione tra due performer, entrambi bendati, uno dei quali forzatamente e casualmente “nutriva” l’altro con diversi tipi di alimenti. L’imboccatura obbligata e random è proseguita per un’ora e mezza, passando da un iniziale “piacere” fisiologico e gustativo nell’essere nutrita, da parte della performer, al disgusto per l’azione ripetuta senza sosta, continuativamente; e dalla responsabilità per l’altro performer di essere inesorabile rispetto ad un accordo preso precedentemente in fase di organizzazione del lavoro.

 

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Molte sono state le interpretazioni di feedback che ci sono giunte dal pubblico: l’immagine metaforica del “mangiare in famiglia” e il racconto della sua evoluzione negli anni condensato in poche ore, complice lo schermo che casualmente riproduceva programmi e spot televisivi “dell’ora di cena”; altri hanno visto una rappresentazione del “ciclo vitale” di una relazione, di amore e di odio. Vi è stato poi l’intervento attivo di uno degli invitati (imprevisto ma desiderato) che si è sentito in dovere di interrompere la performance alla vista delle reazioni della performer.

 

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Come ho già avuto modo di dire pubblicamente: come artisti seminiamo, ma raramente vediamo i semi delle nostre azioni performative: vivono nella mente delle persone, e germogliano distanti da noi – nel tempo e nello spazio – in ricordi o pensieri che verranno ripresi da chi ci ha visto a distanza di anni, se la performance è stata buona. Aver avuto occasione di veder sbocciare subito una reazione, immanente, è stato un regalo importante che auguro ad ogni performer di veder accadere, almeno una volta nella propria carriera artistica. Regala fiducia e ripaga delle fatiche del proprio lavoro. Come scrivevamo Amalia ed io, “il nostro lavoro inizia con noi, ma finisce con voi

 

Fotografie per gentile concessione di Vincenzo Bruno.

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