Le cose sussurrano

Le cose sussurrano, fateci caso.

E’ da poco che mi sono reso conto che è questo, il fenomeno a cui ho dedicato anni di ricerche; come se avessi trovato il titolo giusto per un romanzo, già terminato da tempo, solo dopo averlo scritto, letto e riletto più volte. Questo non fa che confermare la mia teoria sull’indeterminatezza dei fatti. Per arrivare a questa precisa consapevolezza è stata necessaria molta dedizione, ma so che anche la sorte ha avuto il suo peso; è difficile ammettere con serenità il ruolo del caso nel sospingerci verso un destino piuttosto che un altro. Ma procediamo con ordine.

La serie di eventi che mi ha portato fino a qui inizia molto tempo fa, risale addirittura alla mia giovinezza. Sono nato ad Albany, negli Stati Uniti, nel 1874. Mio padre aveva una drogheria, e il tipico carattere di chi si è fatto strada da solo nella vita, sgomitando. Nel poco tempo libero che mi concedeva dal lavoro, invece di studiare, amavo collezionare minerali, conchiglie e uccelli. La varietà delle forme organiche e inorganiche mi dava una singolare ebbrezza: il mondo era vasto, e tutto era possibile.

Quando fui maggiorenne avevo imparato abbastanza di mio padre, ed ero diventato sufficientemente scaltro, per convincerlo che viaggiare mi avrebbe aperto nuove prospettive, soprattutto commerciali. In realtà, volevo vedere il mondo, senza uno scopo immediatamente monetizzabile. Attraversai gli Stati Uniti occidentali, poi andai in Scozia, in Gran Bretagna, non mi lasciai scappare l’occasione di imbarcarmi per il Sudafrica, e qui la mia fuga si concluse. Mi ammalai gravemente e fui costretto a tornare a casa, dove un’infermiera di nome Anna Filling si prese cura delle mie febbri.

“Quando Charles mi chiese di sposarlo, ero felicissima. Era un’uomo fuori dal comune: le sue aspirazioni all’avventura e alla scoperta erano contagiose. Mi parlava di luoghi distanti, di personaggi incredibili, e nutriva in me il desiderio di andarmene da quella cittadina piccola e ripiegata su se stessa. Mia madre mi aveva avvertito che Charles non avrebbe mai combinato nulla nella vita, mi disse che senza soldi non saremmo andati da nessuna parte. Ma eravamo giovani, sognatori, e le previsioni di mia madre… i timori infondati di una mentalità vecchia e chiusa.”

Qualche anno dopo la sposai. Mio padre ormai aveva intuito l’inganno, e smise di passarmi denaro. Durante i miei viaggi avevo visto cose che tutti, ad Albany, ignoravano, e mi misi in testa l’idea che sarebbero stati disposti a pagare per saperle: decisi di scrivere racconti e di provare a venderli ai giornali. Furono anni di grande povertà: fui costretto ad ammettere che la curiosità dei miei concittadini non si spingeva tanto lontano quanto la mia, che a nessuno importava che cosa accadeva al di fuori della contea, e che anzi più gli eventi che raccontavo erano curiosi, più suscitavano indifferenza oppure derisione.

Probabilmente fu a questo punto della mia esistenza che iniziai a rendermi conto che le cose sussurravano. Forse, se avessi usato una forma più accattivante per raccontarlo, la gente avrebbe iniziato a prestare attenzione: dedicai tutte le mie energie alla scrittura di romanzi, ma di dieci che proposi agli editori solo uno fu pubblicato. Si intitolava “Il fabbricante di vagabondi”. Il giudizio molto positivo della critica mi fece ben sperare, ma fu un fallimento totale di vendite. No, nessuno voleva ascoltare il sussurro delle cose, soprattutto quando esse raccontavano di fatti che esulavano dal raziocinio comune della vita quotidiana.

Perché sì, le cose sussurrano. Nessuno se ne rende conto, dal momento che fin dall’infanzia siamo sottoposti a questo bisbiglio continuo. D’altro canto, però, c’è chi ci dice che il mondo va così e cosà, e allora soltanto il sussurro delle cose in accordo con quello che ci è stato insegnato passa attraverso questo filtro appreso; e le cose che invece sussurrano verità diverse vengono ignorate. Questo processo di censura di una parte della realtà in me non aveva trovato terreno fertile, non aveva attecchito. E quindi sentivo il sussurro di tutte le cose, non solo di una parte di esse.

“A distanza di anni mi sono chiesta molte volte se abbia fatto bene a sostenere e incoraggiare il lavoro di mio marito, nonostante non abbia mai dato i risultati sperati. L’alternativa quale era? Lasciarlo al suo destino? Alcune mie cugine mi dissero che ero stata una stupida, e che mi ero privata della possibilità di avere una vita più facile, con qualcun altro. C’è stato un momento in cui stavo per dare loro ragione: quella volta che Charles rifiutò di portare avanti insieme ai fratelli l’attività di suo padre, quando questo morì. Sarebbe stata la nostra occasione per avere un’esistenza più agiata. Poi capii che non c’era comodità che avrebbe messo a tacere la nostalgia di lui. E allora rimasi.”

Dal momento che la letteratura non aveva dato i risultati sperati, passai alla ricerca dell’evidenza scientifica. Mi proposi di mettere insieme così tante prove che, di fronte ad esse, nessuno avrebbe più potuto negare la realtà dei fatti. Ogni giorno passavo in rassegna riviste scientifiche, quotidiani, periodici, mi recavo assiduamente alle biblioteche di New York e mi spinsi fino a Londra, quando qualche volume era irreperibile negli Stati Uniti. Annotai per anni migliaia di fatti che la comunità scientifica non era stata in grado di spiegare. Nel frattempo, vivevo di quanto mia moglie Anna guadagnava come infermiera.

Misi insieme un numero così grande di schede descrittive di tali fenomeni che la casa dove Anna ed io abitavamo ne era letteralmente ricolma. Piogge di rane, cerchi nel grano, suoni inspiegabili, levitazione, ruote di luce comparse sull’oceano, avvistamenti di fantasmi, animali trovati lontani dal loro habitat naturale, misteriose sparizioni, autocombustione, reperti archeologici di difficile collocazione storica, e così via. Avevo problemi di spazio: inventai una particolare scrittura stenografica per risparmiare carta. Superai le cinquantamila cartelle.

Una delle esperienze più importanti e allo stesso tempo più dolorose che feci fu la visita al parco di divertimenti di Coney Island. Per un dollaro si ammirano giganti, nani, donne barbute, gemelle siamesi e altri prodigi della natura. Il luogo era tutto uno sfavillio di luci, e la musica accompagnava il percorso dei visitatori attraverso il parco. La gente rideva, si spaventava… ma io tornai a casa pervaso da una ringhiosa amarezza, a vedere come tutto ciò che era diverso era stato rinchiuso in uno spazio ben delimitato, per essere deriso ed esorcizzato in nome della media, della normalità, del senso comune.

Da una selezione di tutti i miei appunti nacque “Il libro dei dannati”: fatti condannati all’inferno in quanto considerati dalla scienza falsi, impossibili. Il mondo sembrava diviso in due categorie: le cose comunemente accettate, quelle che confermavano le teorie ufficiali; e poi quelle che invece le contraddicevano, e queste ultime venivano sistematicamente emarginate, ignorate, dimenticate. Trovavo inconcepibile che nessuno se ne rendesse conto. Forse una civiltà su Marte influenzava le nostre menti, forse gli abitanti malvagi di una città al Polo Sud cospiravano contro di noi. Theodore Dreiser, un caro amico, provò a pubblicare entrambe queste mie teorie, in due volumi che però non ebbero mai successo.

“Non serviva un medico per capire che le conseguenze della malaria e delle infezioni contratte in Africa da mio marito si sarebbero aggravate con l’età. Charles ha speso tutta la sua vita a cercare di dimostrare l’influenza del pregiudizio inconsapevole sulla nostra visione dei fatti… due giorni fa è svenuto e ha avuto le convulsioni. E’ convinto che sia stata una crisi nervosa dovuta alla stanchezza. Non ho ancora trovato il coraggio di fargli notare che questo episodio, e le febbri e le fasi alterne di depressione e di euforia sono quasi certamente il risultato di danni cerebrali causati dalla malattia, e non dipendenti da risultati positivi o negativi delle sue ricerche. Come se l’universo avesse deciso di punirlo per aver svelato un suo segreto, condannandolo a subire l’inganno che ha cercato di svelare a tutti…”

Incoraggiato da alcuni amici, diedi vita alla Fortean Society: un gruppo di studiosi che, in varie parti del mondo, si dedicavano alla raccolta di informazioni sui fatti che la scienza, molto poco sportivamente, nascondeva sotto al tappeto, invece di provare a spiegare. Fui costretto ben presto a disconoscerla. A me non interessava essere a capo di qualcosa. E’ esattamente il contrario di quello che stavo cercando di dimostrare: ci sono persone che, a seconda dei periodi storici e del contesto sociale e culturale, decidono che cosa è scienza e che cosa non lo è. Non volevo creare un sistema alternativo, altrettanto autoritario.

Oggi compio cinquant’anni, e la salute cagionevole ostacola le mie ricerche. Le cose continuano a sussurrare, ed io presto loro ascolto, con le poche energie che mi sono rimaste. Rileggo, alle volte, i miei lavori: non credo a nulla di ciò che ho scritto. I fatti sono indeterminati: oggi li spiega questa teoria, ieri era un’altra, domani sarà un’altra ancora. Trovo questo molto ironico. Ed è proprio l’ironia, che la comunità scientifica non mi vuole perdonare: tutti sono capaci di affermare che le teorie di dieci anni fa erano inesatte, ma pochi sono disposti ad ammettere che tra dieci anni verranno smentiti da teorie ancora diverse.

Le cose continuano a sussurrare, ma negli ultimi tempi i loro bisbigli sono diventati più personali, riguardano la mia storia. Quella tazza mi parla di mia madre, del modo che aveva di mescolare lo zucchero senza far tintinnare il cucchiaino. Quella lampada mi parla di mio padre, che veniva a spegnerne una simile, per risparmiare petrolio, quando alla sera mi attardavo su letture che lui considerava inutili. Sono certo che la gente si liberi di tutta una serie di oggetti perché non vuole sentirne la voce. Per me, invece, tutte queste cose che sussurrano sono di uno splendore indicibile: sono la promessa che da qualche parte, scritto in una lingua straniera, su una materia più duratura del mio corpo, ogni ricordo della mia storia rimane.

Le cose sussurrano, fateci caso.

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Charles Hoy Fort è esistito realmente: nacque ad Albany il 6 agosto 1874, e morì a New York il 3 maggio 1932. Fu un uomo troppo in anticipo sui tempi. I suoi libri, seppure con uno stile di difficile lettura (a volte complesso, a volte violento, altre volte ancora poetico oppure ironico), dimostrano l’influenza dei valori della società nella costruzione di ciò che la scienza considera paradigmi inamovibili. Questa sua idea fu poi ripresa da Thomas Kuhn e da Paul Feyerabend, in un’epoca storica più incline ad accettare che anche i rappresentanti del mondo scientifico potessero, alle volte, risentire del contesto culturale in cui operavano e delle aspettative che questo generava nella ricerca e nella valutazione dei risultati degli esperimenti. Al contrario, il periodo in cui visse Charles Fort – durante il quale il progresso e la razionalità pratica si spinsero in alcuni casi a porre le basi di teorie che avrebbero giustificato i peggiori crimini contro l’umanità – non fu propizio né alla diffusione delle sue opere, né alla comprensione esatta della portata delle sue affermazioni.

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Per chi volesse cimentarsi con la lettura (non semplice) delle opere di Charles Hoy Fort – attualmente libere da diritti d’autore – qui di seguito, in inglese, sono disponibili il .pdf del suo Book of Damned (1919), e il .pdf che contiene tre suoi libri: New Lands (1923), Lo! (1931), e Wild Talents (1933).

Charles Fort – The book of damned

Charles Fort – 3 books

 

Anna Filling e Charles Hoy Fort da un documento dell’epoca

4 Comments

  1. Ciao Roccioletti… Ogni tanto riesco a leggermi qualcuna delle tue mail e le trovo sempre molto interessanti…ti ringrazio per il lavoro che fai.. E che ci doni… Anche questa volta tutto mi risuona personalmente… 🙏😉

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