Il 7 settembre 2017, in occasione della performance “Una persona di un certo peso” (prodotta con Michele Di Erre, fotografata da Vincenzo Bruno) azzardavo una risposta collettiva alla domanda di molti: perché ti fai del male? Ieri, dopo la performance “Speranze, attese, pretese” nei commenti e con messaggi personali mi viene posta la stessa domanda. Riprendo dunque l’articolo di 4 anni fa – con l’imbarazzo che sempre provo per qualsiasi cosa io scriva – per vedere quanto di vero, di impreciso o di insincero ci sia in quelle righe (con il senno del poi); non tanto per una risposta comune riveduta e corretta, piuttosto: aggiornamento sullo stato dei lavori, quel work in progress alle volte esausto ma mai esaustivo sul perché delle cose dell’arte, per farla breve. Altri (tra i quali proprio il mio fotografo, Vincenzo) mi suggeriscono di aggiungere ad ogni mia performance una breve spiegazione, mettendomi nei panni di chi non conosce la materia. Riconosco che è estrema, la mia decisione, di non voler occupare quello spazio dell’osservatore; che gli deve essere concesso largo e libero, perché possa riempirlo con le proprie reazioni di fronte alle immagini nude delle mie performance; e che corro il rischio di lasciarlo troppo solo. Questo articolo di oggi è anche una ricerca di quel punto, a metà strada; dove incontrarsi, con parole che suggeriscano, e non strattonino.
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2017: Il gesto performativo comporta ogni volta una certa dose di rischio. Così come scendere dalle scale, guidare un’automobile, fare il bagno con il mare agitato, prendere il sole senza crema protettiva, e via dicendo. L’arte non è un gioco di prestigio, quindi il rischio di ferirsi sussiste, sempre. Alle volte è calcolato, alle volte meno, alle volte è alto, altre minimo.
2021: In primis bisognerebbe riflettere sul rischio percepito, e quello reale. Ovviamente il primo è un sottoinsieme molto piccolo del secondo. L’accenno al gioco di prestigio credo sia un riferimento a quello che scrissero i curatori della galleria Moitre in occasione della performance “Laboriosa leggerezza” con Amalia De Bernardis (ma quella è un’altra storia), e ha a che fare con il fatto che la performance non simula, non vuole ingannare lo spettatore, non è spettacolo. Siamo ovviamente propensi, geneticamente? a valutare i rischi e le conseguenze nell’immediato, piuttosto che quelli a lungo termine.
2017: In ogni caso, si è sempre… “toccati” da quello che si fa. In un mondo che vive la connessione a distanza e il virtuale (credendo, erroneamente, che preservino, tengano lontano, non tocchino), il lavoro sul proprio corpo può essere perturbante, così come perturbanti sono le conseguenze delle proprie azioni anche sugli altri: per quanto ci si possa credere non-responsabili di quello che avviene attorno a noi, ogni nostro gesto, in qualche modo – anche l’indifferenza – produce conseguenze.
2021: E’ un tema interessante e attuale. Nel mondo classico “il mondo” forse finiva là dove arrivava lo sguardo, all’orizzonte; le notizie, i pacchetti di informazione, giungevano a cavallo oppure a piedi. Oggi possiamo sapere – e quindi dover prendere una posizione, una decisione – in merito ad eventi che si svolgono dall’altro lato del pianeta; nel caso di ingiustizie e brutture siamo messi di fronte alle nostre possibilità, o volontà, di intervento.
2017: Il lavoro sul corpo significa (anche) affermare: ogni cosa è, in qualche modo, interconnessa in profondità e non ci si può tirare fuori da questo, mai. Anni di cattiva informazione in merito al concetto di performance hanno creato falsi miti. Molto virali: quello dell’artista masochista, ad esempio, che si fa del male per attirare attenzione, quello dell’artista che non ha rispetto del proprio corpo, e via dicendo. Certo, esistono casi come questi, ma c’è anche altro.
2021: Uno psicologo potrebbe affermare che questo mio articolo è un tentativo di sistemare in uno schema coerente (e controllare, e giustificare) pulsioni autodistruttive profonde; forse non posso dargli torto. Tuttavia: la performance può diventare un luogo di riflessione in merito a questi impulsi; laddove invece, nel mondo reale, restano sepolti, dall’abitudine, dalla convenzione sociale, dal quotidiano abbacinante. Mio nonno da ragazzino si tuffava nel torrente Malone dal Ponte dell’Avvocato, mio padre attraversava l’imboccatura del porto da molo a molo, con il rischio di finire tra le eliche di qualche imbarcazione. Sono gli archetipi rituali di passaggio, ben strutturati nelle società primitive, che anche oggi spingono per uscire?
2017: Semplicemente, il mondo della Rete rende più appetibili alcune notizie, piuttosto che altre. Il messaggio breve e semplice, piuttosto che la spiegazione estesa e profonda. L’immagine, piuttosto che il testo. Il commento, sempre e comunque, invece che la riflessione costruita a più menti (che ha bisogno dei suoi tempi, della sua sedimentazione).
2021: E’ un tema già affrontato, e sul quale ancora lavorerò: l’impossibilità di essere eretici, senza che questo venga preso come un atteggiamento di marketing, promozionale. Aggiungiamo l’algoritmo di visibilità e le sue logiche, e il gioco è fatto. Gli sport estremi prendono like, si fa la coda al Luna Park per comprarsi lo spavento di un giro di giostra, si girano film d’azione e horror, periodicamente ci si interroga sulla correlazione tra videogames e comportamenti violenti…
2017: Lavorare in modo performativo sul proprio corpo può anche essere una ricerca del limite. Gli atleti lo fanno quotidianamente. Anche chi lavora ad un progetto puramente “intellettuale”, seduto alla propria scrivania, fino allo sfinimento, in qualche modo cerca di spostare un piede oltre quel confine. Alcune conseguenze sono immediatamente visibili (uno stiramento per chi corre i cento metri), altre invece a distanza di anni (problemi alla schiena o alla vista in chi sta sempre seduto davanti ad uno schermo).
2021: L’immagine leopardiana dello studioso chino sulle sudate carte è imbarazzante, e mi pento di averla usata; probabilmente il concetto che cercavo di esprimere era quello dell’impatto, continuo e totale, della condotta di vita sul corpo, che a sua volta condiziona la mente, il proprio modo di vedere se stessi, gli altri, il mondo circostante.
2017: Per non parlare dei costi economici: di tempo, di energie, morali… Non ci sarebbe evoluzione, scoperta, progresso, assolutamente niente di tutto questo. Ogni cosa ha un prezzo da pagare. Che cosa sei disposto a perdere per raggiungere quello che desideri?
2021: Non apro il capitolo, infinito, sul desiderio. Solo domande: siamo noi a desiderare, oppure ci è stato insegnato, indotto, imposto? I nostri desideri sono sempre naturali? Sono in ogni caso un bene per noi, oppure a prescindere è il nostro destino (in parte genetico, in parte costruito da noi stessi e dalle pressioni culturali) verso il quale precipitiamo controllando, solo in parte, la caduta?
2017: Nel 2016 si sono registrati 783.000 incidenti domestici. Eppure, continuiamo a restare a casa, perché quello è il luogo dove vogliamo stare.
2021: …il luogo dove possiamo stare. Ecco allora che ci sono rischi che vengono accettati, perché inscindibili dalla necessità; al contrario, nella percezione comune, l’arte performativa – che ovviamente non è necessaria – si prende rischi non necessari. E’ davvero così? Si può avere contezza di tutti i rischi, le conseguenze, i benefici?
2017: Perché fumiamo, se sappiamo che ci fa male? Perché mangiamo cibi nocivi, se ne siamo consapevoli? Perché perseveriamo con comportamenti che non ci fanno stare bene? E’ tutta, solo, una questione di debolezza? E che dire del distinguo: tra comportamenti della sfera privata e della sfera pubblica. Che siano socialmente e culturalmente accettati, oppure no. Che restino nascosti, oppure che qualcuno li affronti, li metta sulla strada così che ci si debba confrontare, oppure scavalcarli facendo finta di niente.
2021: Tra le mie varie attività, c’è quella di presidiare social che non sono dedicati all’arte, provando a contaminarli. Tra questi c’è TikTok. Scopro proprio oggi che il materiale che riguarda la mia ultima performance è stato censurato.
Viceversa, restano e anzi diventano virali video di ragazzini che camminano su cornicioni e tralicci, si lanciano con funi improvvisate da dirupi, scendono di balcone in balcone le facciate dei palazzi.
2017 – 2021: Nella speranza, non tanto di aver dato una risposta, ma sollevato ulteriori domande e riflessioni.
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